Criteri tradizionali di contabilità pubblica
La contabilità pubblica storicamente ha adottato la contabilizzazione per cassa – sia in Italia che all’estero. Questa impostazione, che si contrappone al criterio di competenza adottato nel settore privato, si caratterizza per maggior semplicità ma non è in grado di fornire un’adeguata rappresentazione della situazione economica di un ente.A parziale giustificazione del “ritardo” dell’amministrazione pubblica nel dotarsi di sistemi di reporting adeguati occorre precisare che la gestione finanziaria e contabile di un’ente pubblico è di per sé caratterizzata da maggior formalismo per ovvie ragioni di controllo dell’utilizzo dei fondi : ciò induce maggiore complessità nelle rilevazioni contabili, generando fasi amministrative aggiuntive quali “accertamento/riscossione/versamento” e “impegno/liquidazione/pagamento” , sconosciute al settore privato.
Il criterio di cassa prende infatti a riferimento la manifestazione monetaria delle transazioni economiche (incassi e pagamenti), a prescindere dal fatto che detti incassi e pagamenti si riferiscano a costi e ricavi inerenti a processi economici intercorsi nell’esercizio.
Ecco un semplice esempio per dare un’idea immediata della problematica: la bolletta per il consumo di energia elettrica, che si riferisce sempre ai mesi precedenti all’emissione. Le bollette emesse nei primi mesi di ogni anno si riferiscono dunque ad utilizzi di energia che hanno contribuito all’attività economica nell’anno precedente. Ne deriva così una rappresentazione distorta del risultato economico di ciascun esercizio, che penalizza il risultato dell’anno successivo a favore di quello precedente.
Come si può immaginare le voci di costo e ricavo che rientrano in casi di questo tipo (e spesso comportano discrepanze su archi di tempo pluriennali) sono numerosissime e generano distorsioni sostanziali .
Si aggiunga che anche lo stato patrimoniale tradizionalmente non è stato ricompreso nella reportistica finanziaria degli enti pubblici – il che comporta l’assenza di informazioni non solo patrimoniali ma anche finanziarie (ottenute, come noto, dall’uso congiunto di voci patrimoniali ed economiche).
Tradizionalmente, inoltre, il settore pubblico ha potuto impiegare adattamenti specifici nell’intento di rimediare almeno in parte alle suddette carenze. Purtroppo tali adattamenti – nella loro eterogeneità e scarsa analiticità – hanno compromesso la possibilità di confrontare i rendiconti –sia a livello nazionale che internazionale.
Un esempio particolarmente diffuso nel nostro Paese è quello dei “residui” – attivi e passivi – che rappresentano la differenza tra voci di entrata ed uscita iscritte a bilancio secondo il principio della gestione di competenza e le stesse voci iscritte in accordo alla gestione di cassa. Ovvero della quota di entrate e spese che l’ente riteneva di effettuare nel corso dell’anno che – ancorchè effettivamente manifestatesi – non sono state pagate o riscosse.
Si tratta di voci – si noti – “complessive”: una riga di bilancio che comprende tutte le innumerevoli voci di differenze di questo tipo, che non permettono raffronti tra un esercizio e l’altro o tra enti diversi e sono anche facili fonti di errore, visto che ogni anno andrebbero rettificati delle voci che l’ente prevede di non incassare o di incassare parzialmente.